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Firewater - The Golden Hour

Diego Roma Filed Under:
Treno treno, portami via...


Mi ritrovo a correre dietro vagoni musicali, proprio sulla pensilina, e ogni volta mi sfrecciano davanti, mai che riesca a salire in tempo su uno di essi, a prenderlo in tempo insomma. Un trainspotting, il mio, che ha la pretesa di non essere del tutto inconcludente.

Proprio ieri passava questo treno chiamato Firewater. Un treno merci, grezzo, rumoroso, nostalgico come sa essere solo un vero treno. Questa locomotiva gira dal 1996 per il mondo senza fermarsi, caricando qua e là generi musicali i più disparati. Si ferma di tanto in tanto, preferibilmente in oriente magari, e poi riparte con il suo suono ferroso e i suoi singulti di gigante malinconico, stanco delle beghe d'occidente. Partirei con questa video intervista che è in realtà un mini reportage musicale. Notevole.



Insomma, se ascoltate con piacere Goran Bregovic, i Gogol Bordello, se avete gradito a suo tempo gli Azmat Modine e avete incontrato il 20enne Beirut di recente, o anche solo se vi siete chiesti da dove Vinicio Capossela abbia assimilato alcune sonorità, attivate l'applicazione che sta in altro a destra, fate partire la musica e lasciate correre questa locomotiva. Vedrete che in poco tempo sarà difficile non tentare il salto.

Intanto due cose due sulla nascita della band. Tod Ashley, songwriter, un tempo membro dei Cop Shoot Cop, forma i Firewater a metà anni '90, deciso a reclutare un po' di compagni per il nuovo viaggio pescandoli da diverse plaghe musicali (Soul Coughing, Foetus, Jesus Lizard, per citarne alcuni) ma rapinandoli sostanzialmente delle loro essenze di genere per alimentare il pastiche sonoro del suo "mostro": jazz, klezmer, certo rock bizantino e balcanico, viaggi morriconiani, orchestrine turche ed ebree di quell'oriente ingolfato di popoli culture liturgie colori ed etnie.

Molti i lavori alle spalle, cangianti come i musicisti che si avvicendano nel tempo. Sarebbe davvero lunga, la preparazione è poca, e allora diciamo che quello che state ascoltando è solo l'ultimo album, The Golden Hour, scritto mentre il treno Ashley passava per la Thailandia, l'India, la Turchia, l'Indonesia e il Pakistan. Tutto documentato dal blog del Nostro, Postcards From The Other Side Of The World (vedrete cose...).

Bene, questo è quanto. Buon ascolto. Anzi buon viaggio.

FONTI
Pitchfork Media
Official Website

Postcards From The Other Side Of The World (Blog)
Mypsace
Wikipedia

Cloud Cult - Feel Good Ghosts

Diego Roma Filed Under:
Craig Minowa e il collettivo della contaminazione

Cloud Cult - Feel Good Ghosts
Da Pitchfork Media conosco con un dodicennio di ritardo i Cloud Cult, di Minneapolis, Craig Minowa in testa, compositore e cantante, Connie Minowa sua moglie, in veste di Visual Art. E poi musicisti reclutati nel tempo fino a giungere ad una band da sei, tutti polistrumentisti, dunque in grado di suonare violino e violoncello, synth e batteria, basso e trombone, e così via. Acustico, elettrico, sintetico, minimale, fragoroso, questo è il suono del Cloud Cult, sono delle prove prodigiose, di autentica scuola indie.

Intanto una registrazione in studio, giusto per capire.



Lo studio di registrazione che avete appena visto è alimentato con un generatore geotermico e da pannelli solari. Fanno booklet con inchiostro non nocivo, piantano alberi sulle terre americane in base alle emissioni di Co2 dei loro tour. Si guardano bene dalle richieste delle major e si autoproducono con etichetta dal nome Earthology (Sic!).

Non ci soffermeremo sulle vicende biografiche della coppia Minowa, che pure contengono elementi dolorosi (per chi volesse, può approfondire sulle bios presenti nel Sito Ufficiale) bensì sulla musica. Potreste incontrare i Flaming Lips ma anche Bright Eyes, gli Arcade Fire ma anche i Modest Mouse, Sparklehorse ma anche Grandaddy. Forse gruppi come i Flotation Toy Warning, anche se inglesi, hanno ascoltato a lungo i Cloud Cult. E così di questo passo.

Insomma, a breve è uscito il nuovo LP Feel Good Ghosts (Tea Partying Through Tornadoes), che è il sesto di una lunga serie ed è un lavoro magistrale. Ho avuto modo di sentire anche il precedente The Meanings of 8, altrettanto entusiasmante. Da neofita posso dire che sono dischi complessi, dalle melodie sofisticate e corali, non di rado hanno cuscini elettrici e ritmiche frammentate, ci sono contaminazioni elettroniche ovunque e voci femminili, commoventi aperture di archi e urla disperate, ma anche pop songs sbarazzine e ironiche, piene zeppe di cose. L'ingrediente principale, nonostante il fragore strumentale, mi sembra una non estinguibile malinconia.

A onor della sintesi, di cui non sono capace, mi fermo qui. Anzi qui.

Buon ascolto.

FONTI:
Pitchfork Media
Sito ufficiale
Myspace
Earthology